Romanistan - Diario #4
Yazd, h 23.07. Entrati in Iran con una procedura lunga, ma priva di reali inconvenienti: welcom in Iran. Al di là della frontiera, passato a piedi un ponte sul fiume torbido/cioccolato ci piazziamo in attesa in un vasto parcheggio con alcune centinaia di camion, molte meno le macchine, e un flusso costante di donne e uomini e merci che se la fanno a piedi. I funzionari sbrigano le procedure con lenta indefferenza. Una camion alla volta se ne va. Noi ci mettiamo 6 ore e poteva andare peggio.
Domani sarà la volta della frontiera pakistana, assai più complicata.
Abbandonato il paesaggio ancora per certi versi europeo dell’Armenia, entrare in Iran è come tuffarsi in un altro continente; in una settimana attraversiamo alcune migliaia di kilometri sprofondando progressivamente nel deserto in un caldo sempre più intenso. Tutto cambia, le piante, le rocce, le città, le popolazioni, la luce. Il taglio è netto, non solo dal punto di vista politico e religioso.
Arriviamo a Teheran, che è un po’ meno che a metà strada da qua. Incontriamo nella hall di un grande albergo che domina la città dalle colline, Orhan Galjus che ci ha raggiunti in aereo da Amsterdam, seguito, alla spicciolata, dai musicisti iraniani che ha contattato per una session etnomusicologica con Gennaro. Spicca tra loro la figura di Bahzad Zargar, ritratto in queste foto. Gennaro e gli altri musicisti si intendono subito nel loro Romanì e non c’è bisogno di interpreti. La colazione, con Orhan, il mattino dopo, ci porta a discutere dei prossimi appuntamenti a Nuova Deli. Emergono sfumature interessanti, a Deli ci sarà da lavorare. I Rom sono anche definiti “Orfani dell’India” e ambiguo è stato a volte il ruolo di alcuni loro leader all’interno del nazionalismo radicale indiano.
La presenza dei Rom in Iran è diluita; vivono qua da centinaia di anni assorbiti come gocce d’acqua da un terreno arido e quasi avido di accogliere tutte le forme di vita capaci di sopportarne il rigore ambientale. L’Iran è popolato da una decina almento di altre etnie nomadi o seminomadi e transuenti, spesso bellicose e, ci dicono armate in qualche modo e da qualche parte; come i Beluci, gruppo semi-insediato tra Iran e Pakistan, causa formale del nostro dover attraversare, a partire da domani, una nomansland di 800 kilometri aggregandoci a un convoglio militare.
L’orizzonte del ritorno viene qui offuscato.
Romanistan di Luca Vitone è un progetto promosso dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, vincitore della IV edizione del bando Italian Council (2018), concorso ideato dalla Direzione generale arte e architettura contemporanee e periferie urbane (Dgaap) del Ministero per i beni e le attività culturali, per promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo. In collaborazione con «Il manifesto», sul nostro sito, uscirà ogni settimana un breve diario di viaggio che segnerà le tappe del percorso dell’artista con il suo gruppo. Le tappe saranno narrate su www.ilmanifesto.it ogni venerdì a partire dal 31 maggio, per finire il racconto di parole e immagini il 5 luglio ( sei puntate). Sul sito di Luca Vitone sarà possibile vedere le coordinate geografiche in cui si troverà ogni tot minuti.
www.lucavitone.eu